Bach, Concerti Brandeburghesi BWV 1046-1051

Un mio programma di sala contenente sintetiche osservazioni sui Concerti Brandeburghesi e alcune esecuzioni valide.

Johann Sebastian Bach, mito, monumento, idolo, passione di qualsiasi musicista occidentale venuto dopo di lui, fu anche un uomo e, come tale, visse e operò in contesti di esistenza quotidiana in cui le ragioni del “materiale” hanno costantemente interferito con le istanze dell’“immaginario” e di una produzione artistica che era ancora in larga parte scienza e artigianato virtuoso. Proprio Bach, volendo leggere la sua storia in relazione al mondo circostante, può valere da esempio tipico del rapporto che un professionista della musica, durante l’ancien régime, poteva intrattenere con la propria clientela: mecenati “umanistici” laddove fossero singoli esponenti dell’aristocrazia amanti delle arti e bramosi del prestigio che esse restituivano in casa e fuori, ovvero mecenati “istituzionali” laddove fossero entità collettive che attraverso le arti potessero riaffermare il loro ruolo egemone in casa e fuori. Bach infatti dipese da un principe, Leopold von Anhalt-Cöthen, dal 1717 al 1723, e da una città, Lipsia, con la sua scuola più antica e prestigiosa, la Thomasschule, dal 1723 fino alla morte.

La maggior parte della musica strumentale da concerto scritta da Bach appartiene dunque al periodo di Cöthen e si ricorda tradizionalmente per il linguaggio di sintesi con cui essa elabora, in chiave tedesca, elementi tratti dagli stili francese e italiano e dalle loro forme più rappresentative: rispettivamente la suite (successione di brani improntati a ritmi di danza contrastanti e accomunati dalla tonalità) e il concerto (nel Settecento realizzato prevalentemente come trittico di movimenti veloce-lento-veloce per uno o più strumenti solisti dialoganti con una compagine di varia entità). Altro contesto per il quale Bach produsse musica da concerto fu Dresda, splendida capitale della Sassonia nella quale si recò per suonare, per “dirigere” e per favorire un adeguato collocamento al figlio maggiore Wilhelm Friedemann che, insieme al fratello minore Carl Philipp Emanuel, ebbe un ruolo dirimente nell’assestamento della forma del concerto su modelli che sarebbero stati poi canonizzati da Mozart.

Diversamente dall’accezione oggi più comune, il concerto barocco e la suite non sono generi “sinfonici” bensì musiche “per più strumenti” – il manoscritto autografo dei cosiddetti Brandeburghesi, 1721, riporta la dicitura «Concerts avec plusieurs instruments» – da eseguirsi nelle “camere” di palazzo (di varia ampiezza) e costituzionalmente diverse da ciò che si destinava al “teatro” e alla “chiesa”. è questa prima essenziale distinzione a motivare il ricorso a organici che, se visti in relazione alla prassi sinfonica corrente, appaiono estremamente ridotti ma che, invece, sono perfettamente funzionali alle esigenze di trasparenza e linearità che il repertorio impone. A reggere costantemente l’intera struttura retorica e comunicativa della musica di Bach, come del repertorio barocco in generale, presiede il basso continuo, tecnica compositiva che è fondamento armonico, ritmico e timbrico di quest’epoca.

Il modello italiano di Bach, particolarmente evidente nei concerti (sia per violino, sia per tastiera, sia per fiati) fu Vivaldi, la cui perfetta “drammaturgia” in tre movimenti viene da Bach rivestita di un tessuto contrappuntistico assai più fitto. Vivaldi fu anche il compositore più volte trascritto da Bach (che si rivolse ad altre fonti d’autore solo sporadicamente e senza mai tornarci; un concerto tratto da Alessandro Marcello, uno da Benedetto Marcello, uno da Torelli, uno da Telemann). Il modello francese è invece quello di Lully (particolarmente apprezzato in Germania: Telemann, per esempio ne compose ben 130 esempi di Suite-Ouverture assimilabili ai quattro di Bach), la cui enfatica gestualità risulta prosciugata nei contenuti encomiastici e liberata in ritmi e movenze che accennano sempre più da lontano alla danza, lasciando spazio al gioco strumentale, ove abbiano massimo risalto le doti timbriche e di bravura dei singoli e di tutti assieme.

Sia nei concerti sia nelle suite (queste ultime purtroppo scarsamente documentate quanto a cronologia e tramandate in differenti versioni) gli interventi solistici sono altrettanti spaccati del mondo musicale attorno a Bach e indizio di chi lo popolava […]

Se di solito Bach viene indicato come depositario del contrappunto nella sua veste più complessa e trascendentale, è altrettanto importante riconoscergli un ruolo seminale nella storia della strumentazione, dal momento che – contrariamente a quanto si crede circa le possibilità di estroversione e libertà della musica barocca – nella partiture bachiane la scelta degli strumenti è sempre estremamente precisa, riferendo a ciascun timbro una gamma specifica di possibilità espressive e di ruoli comunicativi. Ecco che all’uso degli ottoni corrispondono per lo più momenti di particolare elevazione e festosa solennità, agli oboi si associa il ripiegamento emotivo, al violino solista l’introspezione eroica virile, al flauto l’innalzarsi dell’animo umano verso il Cielo, agli ottoni lo splendore festoso, cui il rullo di timpani dona un tocco di maestosità.

Carlo Fiore

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