Qui lo Stabat Mater in notazione quadrata:
e una sua esecuzione
Testo di Carlo Fiore:
A partire dall’VIII e dal IX secolo, mentre il canto gregoriano veniva celebrato come repertorio invariabile della Chiesa romana, la vita religiosa medievale, vero e proprio mondo creativo che coinvolgeva ogni classe sociale, sviluppò alcune forme musicali svincolate dal repertorio scritto nei lussuosi graduali. Si trattava di aggiunte alle composizioni che ne facilitavano l’apprendimento mnemonico, oppure di brani destinati ad arricchire le solennità pubbliche, le processioni, le feste. Oggi gli studiosi interpretano queste musiche anche come forme di orgogliosa sopravvivenza della creatività musicale. Si tenga presente che, in ambito sacro, l’ufficialità del gregoriano si reggeva anche su un’esplicita attenzione verso l’ortodossia e la fissità nella riproduzione di melodie che si credevano ispirate a papa Gregorio direttamente dalla voce di Dio. Spesso l’unione tra il canto sacro e la chiesa (intesa come luogo fisico) veniva rafforzata anche a livello simbolico: infatti i graduali erano di solito uniti all’altare da una catena che faceva del libro liturgico, delle melodie che esso conteneva e del luogo consacrato un organismo compatto. I tropi (termine mutuato dal greco che significa aggiunta) erano delle “aggiunte” testuali poste sotto le lunghe sezioni melismatiche dei canti del proprium e dell’ordinarium(ma non nel Graduale e nel Credo). Questo singolare procedimento, più letterario che musicale, assolveva al compito di facilitare l’apprendimento mnemonico delle lunghe melodie, che altrimenti si sarebbero dovute cantare solo tramite vocalizzi. Così, in ossequio all’imperativo “ne varietur” (che nulla venga cambiato!) si lasciavano intatti il testo e la melodia originali arricchendoli con “intarsi”, i tropi appunto, che sono un chiaro esempio musicale e poetico del pensiero medievale, abituato a rielaborare e ricoprire continuamente di nuovi significati un corpus di testi e temi che, ridotti all’osso, erano sempre gli stessi. Questa pratica ben presto rese inadeguati i libri dove si conservavano le melodie, favorendo la redazione di nuovi volumi chiamati Tropari. Con la “sequenza” la spinta creativa si concentrò sui melismi di particolari canti: prima alcuni jubilus, poi, intorno al IX secolo, soltanto gli alleluja. In questi punti venivano composti alcuni testi dotati di regolare scansione metrica e strofica. Entrambe queste forme di aggiunta al repertorio preesistente furono protagoniste di una ricezione in continua crescita, finché, dopo le epurazioni della Controriforma, rimasero in vita soltanto cinque sequenze: Victimae paschali laudes, Veni sancte spiritus, Lauda Sion Salvatorem, Dies irae (forse di Tommaso da Celano) e Stabat mater (forse di Iacopone da Todi).
Estratto dal discorso di Papa Giovanni Paolo II ai partecipanti del congresso internazionale di musica sacra (2001)
“Il canto di lode, che risuona eternamente nelle sedi celesti, e che Gesù Cristo sommo sacerdote introdusse in questa terra di esilio, la Chiesa lo ha conservato con costanza e fedeltà nel corso di tanti secoli e lo ha arricchito di una mirabile varietà di forme”. La Costituzione ApostolicaLaudis canticum, con la quale Papa Paolo VI ha promulgato nel 1970 l’Ufficio divino, nella dinamica del rinnovamento liturgico inaugurato dal Concilio Vaticano II, esprime subito la vocazione profonda della Chiesa, chiamata a vivere il servizio quotidiano dell’azione di rendimento di grazie in una continua lode trinitaria. La Chiesa dispiega il suo canto perpetuo nella polifonia delle molteplici forme d’arte. La sua tradizione musicale costituisce un patrimonio di valore inestimabile, poiché la musica sacra è chiamata a tradurre la verità del mistero che si celebra nella liturgia (cfr Sacrosactum Concilium, n. 112).
Seguendo l’antica tradizione ebraica (cfr 1 Cr 16, 4-9.23; Sal 80), di cui Cristo e gli Apostoli si erano nutriti (cfr Mt 26, 30; Ef 5, 19; Col 3, 16), la musica sacra si è sviluppata nel corso dei secoli in tutti i continenti, secondo il genio proprio delle culture, manifestando il magnifico slancio creativo compiuto dalle diverse famiglie liturgiche d’Oriente e d’Occidente. L’ultimo Concilio ha raccolto l’eredità del passato e ha realizzato un lavoro sistematico prezioso in un’ottica pastorale, dedicando alla musica sacra un intero capitolo della costituzione sulla Sacra Liturgia Sacrosanctum Concilium. Al tempo di Papa Paolo VI la Sacra Congregazione dei Riti precisò la messa in atto di questa riflessione nell’Istruzione Musicam sacram (5 marzo 1967).
3. La musica sacra è parte integrante della liturgia. Il canto gregoriano, riconosciuto dalla Chiesa come “proprio della liturgia romana” (Ibidemn. 116), è un patrimonio spirituale e culturale unico e universale, che ci è stato trasmesso come l’espressione musicale più limpida della musica sacra, al servizio della Parola di Dio. La sua influenza sullo sviluppo della musica in Europa è stata considerevole. Il dotto lavoro paleografico dell’Abbazia di Saint-Pierre de Solesmes e l’edizione delle raccolte di canto gregoriano promosse da Papa Paolo VI, così come il moltiplicarsi dei cori gregoriani, hanno contribuito al rinnovamento della liturgia e della musica sacra in particolare.