Cori spezzati (stile policorale)

Fonte: programma di sala della Fondazione Levi (testo di Dilva Princivalli)

La prassi esecutiva del coro spezzato o battente, vanto della Scuola Veneziana dei secoli XVI e XVII, nel cui ambito fu introdotta da Adriano Willaert e portata ai massimi vertici da musicisti come Giovanni Croce, Andrea e Giovanni Gabrieli, nasce a Padova nella prima metà del Cinquecento. Qui, infatti, è presente, in qualità di magister capellae presso la cattedrale e la basilica del Santo, fra Ruffino Bartolucci d’Assisi, il primo autore a comporre per doppio coro. Accanto al frate di Assisi, altri musicisti che impiegarono questo nuovo linguaggio compositivo, sperimentandone via via le possibilità espressive, furono Francesco Santacroce e Nicolò Olivetto, attivi soprattutto presso il duomo di Treviso, Gasparo De Albertis, legato alla chiesa di Santa Maria Maggiore di Bergamo, e Giordano Pasetto, successore del Bartolucci presso la cattedrale patavina.
La tecnica policorale affonda le sue origini nell’antico uso cristiano di intonare i salmi in modo antifonico, ossia alternando il canto dei singoli versetti fra due compagini vocali, e dalla pratica tardo medievale dell’alternatim, in cui l’intonazione della monodia gregoriana si alternava a parti polifoniche eseguite da un coro o dall’organo. In entrambi questi repertori la scrittura compositiva procede per frasi musicali chiuse. L’elemento di novità che caratterizza il coro spezzato rinascimentale consiste nel fatto che i due semicori non solo si alternano, ma in modi e misure diverse, a seconda dello stile dei compositori, s’intersecano e si sovrappongono, dando vita ad un dialogo musicale continuo e organico. Le composizioni che ne derivano presentano una grande varietà sul piano dinamico, poiché molteplici sono le possibili combinazioni dei due quartetti vocali che si avvicendano, di norma, su flexa, mediatio e finalis del testo – il che non esclude la presenza di unità melodico-testuali più brevi –
con accordi simultanei di tutte le voci o con l’entrata imitativa o a coppie del secondo coro. Nella conduzione delle voci i procedimenti canonici, più o meno serrati, si alternano con passi omoritmici, talora a valori lati, che sottolineano il contenuto testuale.
I legami di questo repertorio con la tradizione gregoriana sono confermati dalla presenza delle intonazioni salmodiche, alle quali sono affidati i primi emistichi testuali; frammenti di tali melodie vengono poi ripresi dalle singole voci all’interno della composizione. L’alternanza dei due semicori si risolve nella dossologia finale – soprattutto nel «Gloria Patri» e nel «saeculorum. Amen» – eseguita a cori riuniti così da conferire solennità alla conclusione del brano. Il fascino delle esecuzioni a coro spezzato è accresciuto inoltre dall’elemento coreografico: l’organico vocale infatti si scinde in due gruppi affini che si spazializzano posizionandosi ad una certa distanza e, fronteggiandosi, cantano ora alternandosi ora unendosi con grande varietà sonora e un suggestivo effetto stereofonico.

 

Giovanni Gabrieli, mottetto Salvator noster

 

Bonaventura Rubino, Laetatus sum

 

Gregorio Allegri, Miserere

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