Citazioni dal Manuale di sopravvivenza del liutista aspirante e principiante, di Gianluca Lastraioli (Conservatorio di Trapani, Scuola di Musica di Fiesole) http://www.gianlucalastraioli.it
Un liuto comprende: – la cassa, ossia il “guscio”, che è composto da spicchi che chiamiamo doghe. Le doghe, incollate l’una all’altra, qualche volta sono separate da dei filetti decorativi di colore diverso da quello della doga stessa. I legni impiegati per la costruzione dei gusci sono diversi. Tra i più diffusi ed efficaci ci sono l’acero, il palissandro, il tasso.
– la tavola armonica (normalmente di abete), sulla quale è intagliata la rosetta e sulla quale è incollato il ponte o ponticello (detto anticamente “scanello”).
– il manico, su cui è incollata la tastiera e intorno al quale si avvolgono e si legano i tasti di budello.
– il capotasto, ossia una sorta di barretta in legno o in osso che delimita la porzione vibrante delle corde e sulla quale sono incisi i solchi entro i quali scorrono le corde.
– la paletta o cavigliere, ossia quella scatola triangolare con i fori laterali che accoglie i piroli.
– i piroli o bischeri, ossia le “viti” attorno alle quali si avvolgono le corde per poterle tendere e intonare.
– dentro il guscio non c’è molto ma tutto quello che c’è è importantissimo dal punto di vista sonoro. Sul lato interno della tavola armonica sono incollate delle barrette di legno dette “catene” o “barre” che, oltre a rinforzare strutturalmente il sottile spessore della tavola stessa che deve sopportare la trazione di svariati chili esercitata dalle corde in tensione, hanno la funzione di propagare le vibrazioni sulla superficie della tavola stessa. Alcuni liutai sostengono che una buona incatenatura rappresenti il 50% del risultato sonoro di uno strumento.
– le corde. Nei liuti, in effetti, non si parla di corde ma piuttosto di “cori” o di “ordini” ossia di coppie di corde. Si dice quindi che un liuto ha, per esempio, sei cori (o sei ordini) se in effetti ha una corda semplice (la più acuta) più cinque coppie di corde.
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Il liuto è uno strumento di antichissima origine araba entrato a far parte della vita musicale europea durante il periodo medievale. La configurazione dei liuti arabi antichi era probabilmente non troppo dissimile da quella degli Ud che sono ancora in uso nella pratica musicale nord africana e medio orientale. Nel passaggio dalla cultura araba a quella europea, il liuto subì comunque delle modifiche (prima fra tutte la tastatura del manico assente negli strumenti arabi) che permisero di eseguire sullo strumento il repertorio musicale occidentale. Intorno al secolo XIV troviamo il liuto europeo ormai svincolato dal modello arabo e stabilizzato nelle sue configurazioni tipiche a quattro e a cinque cori. Non sono rimasti esemplari integri di liuti medievali ma ne possiamo vedere ancora belle raffigurazioni nei dipinti del tempo. Il liuto Trecentesco veniva suonato con il plettro e su di esso si eseguivano brani di tipo monodico o di semplice ambito polifonico con eventuale accompagnamento di corde vuote che fungevano da bordoni. Non si hanno notizie certe su come venissero accordati i liuti di questo periodo: probabilmente, nemmeno esistevano regole precise e, forse, ogni liutista seguiva un criterio proprio.
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Come detto, con la tecnica del plettro si potevano eseguire soltanto brani monodici. Intorno alla metà del Quattrocento, si cominciò però ad usare una tecnica mista plettro/polpastrelli che permetteva di eseguire, sia pur con qualche limitazione, brani di natura polifonica. Ancora non si trattava di brani scritti appositamente per il liuto, ma,
piuttosto, di brani di origine vocale adattati alla “nuova” tecnica “mista” sviluppata dai liutisti quattrocenteschi. Intorno alla fine del Quattrocento si abbandonò (quasi) definitivamente l’uso del plettro e della tecnica “mista” in favore della tecnica dei soli polpastrelli, tecnica che permetteva di eseguire brani polifonici complessi a due, tre e quattro voci. È quindi proprio con l’inizio del XVI secolo che parte la “vera” storia del nostro strumento e della letteratura musicale ad esso dedicata. In concomitanza dell’affermarsi della tecnica dei polpastrelli, tra la fine del ‘400 e l’inizio del ‘500, comparvero i primi liuti a sei cori.
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Con i liuti a sei cori si esegue propriamente tutta la letteratura della prima metà del ‘500 più ogni altro pezzo (e ce ne sono tanti) del successivo ‘500 che preveda soltanto l’utilizzo di
sei cori. Il liuto a sei cori rimase infatti un “classico” anche nel tardo Cinquecento. Gli autori più adatti a questo tipo di liuto sono:
Italiani: Spinacino, Capirola, Dalza, F. Da Milano, Dall’Aquila, Borrono, da Crema, Bianchini, Barberiis, Abondante, Gorzanis, V. Galilei etc. etc.
Francesi: Attaingnant, Le Roy, de Rippe, Morlaye, Paladin etc. etc.
Inglesi: Tutti gli autori (ovviamente nei brani che prevedono soltanto l’uso di sei cori)
Tedeschi: Judenkunig, H. Newsidler, M. Newsidler, Drusina etc. etc.
Spagnoli: Si può eseguire propriamente su un liuto a sei cori tutta la musica spagnola originariamente composta per vihuela che comprende gli autori Milan, Narvaez, Mudarra, Valderrabano, Daza, Fuenllana, Pisador.
Altri autori: Bakfark, Dlugoraj, Cato.
A questi due link un repertorio iconografico sul liuto: